Scuole e Corsi di Cucina a L'Aquila

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L’Aquila: una città che nel XII secolo aveva già licenza di tenere due fiere generali annuali, ciascuna della durata di venti giorni, e tre mercati settimanali. Un ruolo conservato per secoli, fino a divenire un sicuro punto di riferimento nell’epoca della grande fioritura mercantile dei secoli XIV e XV. In particolare, l’allevamento del bestiame ovino è stato, in ogni epoca, a base dell’economia della “conca” aquilana. Un allevamento che, attraverso le diverse epoche, si è organizzato sull’alpeggio o sulla tradizionale e “romantica” transumanza.

Lenticchie all'Aquilana
Lenticchie all'Aquilana

La forza della cucina aquilana è riproporre sempre in maniere diverse e stuzzicanti prodotti poveri come la polenta, il farro, il formaggio con la muffa, le frattaglie, i legumi e la polenta col tartufo.
Ed è la pasta l’altro tema conduttore della tavola aquilana, dalle alture del Gran Sasso alle pianure del Fucino. Un prodotto che ha aiutato più di una generazione ad uscire da difficilissimi periodi di crisi. La pasta, che nelle sue multiformi pezzature è figlia della vecchia e amata chitarra, lo strumento di cui più di una regione vanta la paternità. Il suo inventore non ha depositato il progetto all’ufficio brevetti ma la sua genialità è confermata dall’uso quasi mistico delle sue corde, pronte a vibrare armoniosamente sotto il “pizzico” del maestro pastaio. Una armonia che accompagna i maccheroni alla chitarra fino alla tavola imbandita della festa, di cui la pasta all’uovo, quella rigorosamente fatta in casa, resta l’incontrastata e ineguagliabile protagonista.
Continuando con il pane, in provincia dell’Aquila, l’arte del panificatore viene tramandata di padre in figlio. In ogni angolo della provincia escono dai forni (molti dei quali, per fortuna, ancora a legna, nonostante la discutibile e repressiva normativa Ue) profumatissimi filoni, fragranti pagnotte, inimitabili pizze che vengono esportati nel Nord Italia o addirittura negli Stati Uniti. Bianco, nero (per la presenza di farina integrale) o giallo (per l’uso dello sfarinato di mais) il pane aquilano ha conquistato anche i palati più esigenti (insostituibile con la bruschetta).
Il trionfo del gusto continua poi con i primi piatti: asciutti, in brodo, a zuppa. Frutto di una terra in alcune zone particolarmente avara, i piatti d’apertura sono tradizionalmente legati alla fantasia, quella di generazioni di massaie che hanno dovuto spesso fare i conti con le ristrettezze del bilancio, con madie pressoché vuote e con una vasta prole sempre affamata.
Il trionfo del gusto continua poi con i primi piatti: asciutti, in brodo, a zuppa. Frutto di una terra in alcune zone particolarmente avara, i piatti d’apertura sono tradizionalmente legati alla fantasia, quella di generazioni di massaie che hanno dovuto spesso fare i conti con le ristrettezze del bilancio, con madie pressoché vuote e con una vasta prole sempre affamata.
Il piatto della festa era ed è rappresentato dai maccheroni alla chitarra, impreziositi dal sugo di castrato o di maiale e imbiancati dal pecorino di Pizzoli, di Castel Del Monte, di Anversa Degli Abruzzi. L’uovo sodo, in quantità non certo dietetiche, insaporisce il timballo all’aquilana, farcito di scamorza e di carne macinata di maiale e di vitello. Le volarelle accompagnano indistintamente un corroborante brodo di carne e una bella zuppa di lenticchie, quelle di Santo Stefano di Sessanio, le uniche a non aver bisogno di ammollo prima della cottura. La zuppa di farro, nella variante con cicoria selvatica, viene preparata nei centri montani del Parco Nazionale d’Abruzzo con particolare maestria, mentre a Paganica regnano i fagioli, con le loro infinite varianti che li collocano come prodotto da tutto pasto. In inverno, e in particolare nella festività dedicata a Sant’Antonio, si usa accompagnarli con la cotica di maiale a tocchetti, ben sgrassata, mentre nei periodi più caldi, specialmente dopo il raccolto, si propongono con rinfrescanti erbette aromatiche. La “spianatora”, rigorosamente in legno d’ulivo, accoglie fumanti polente che nulla hanno a che fare con le cugine venete o valdostane, sempre figlie del granturco, ma con macinature decisamente più grossolane che influiscono in maniera determinante sulla finezza del sapore. La polenta aquilana, nella ricchezza o povertà del condimento, con abbondanti spuntature di maiale in salsa rossa o con la semplice pancetta (sempre di maiale) soffritta nell’olio con generoso peperoncino, è un piatto unico che non ha eguali sul territorio italiano.
Per i secondi, partiamo dallo spezzatino di agnello con l’aquilanissimo uovo e limone. Una leccornia non certo facile da preparare per la tendenza dell’uovo sbattuto a trasformarsi in ..... frittata. E, ancora, l’ormai rarissimo castrato in umido, con carota, sedano e peperoncino, o la coratella d’agnello con i sottaceti, il piatto forte della tradizionale colazione di Pasqua. Spazio anche al pesce, ma “d’alta quota” con il coregone del lago di Campotosto arrosto o in guazzetto o l’ormai introvabile trota del fiume Vera, un tempo comune nelle acque che per secoli hanno alimentato le cartiere e le ramerie di Tempera.
Sul fronte dei salumi ogni comunità della provincia vanta una propria cultura: il prosciutto nostrano, con minimo due anni di stagionatura, riesce a competere con i parenti più ricchi e prestigiosi di San Daniele e di Parma; le salsicce sono caratterizzate dai due eccessi del gusto, il piccante e il dolce, per un connubio di sicura riuscita. Unica nel suo genere la salsiccia di fegato dolce, ingentilita dall’inatteso uso del miele nella fase dell’inseccatura. E poi i salami, le lonze, e la famosissima e inimitabile mortadella di Campotosto (ormai quasi estinta), attraversata da un selezionatissimo lardello che la rende inconfondibile. Solo carne magra di prima scelta sminuzzata grossolanamente con la mezzaluna. La pasta, condita unicamente con sale e pepe, viene poi insaccata nel budello con la listarella di lardo al centro. La stagionatura viene affidata al camino o alla stufa per prendere quel delicato senso di fumo che la rende così stuzzicante.
Passando ai latticini il pensiero va immediatamente alla scamorza che si ottiene con una diversa e più lunga lavorazione del latte rispetto alle più famose mozzarelle. La scamorza, (eccellente quella di Rivisondoli, frutto della bravura dei casari e della bontà del pascolo) dalla forma di un piccolo caciocavallo, viene cotta allo spiedo dopo un breve periodo di appassimento che contribuisce a rendere più soda e saporita la pasta. Sul podio più alto della categoria dei formaggi domina incontrastato il pecorino, prodotto in molti centri montani dell’aquilano: da Calascio e Castel Del Monte a Secinaro, da Pizzoli a Scanno e Anversa Degli Abruzzi.


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